L’utilisssssimo cucchiaino nella bottiglia.

Uno dei miti culinari più scientificamente divertenti e diffusi sostiene che per mantenere l’effervescenza di una bottiglia di Champagne, o di una qualsiasi bibita gassata, mezza vuota si debba inserire un cucchiaino nel collo della bottiglia, preferibilmente d’argento (pure!).
Vediamo cosa dice la Scienza, con me come suo umile tramite.
Prima di svelarvi il segreto gelosamente custodito dagli scienziati che per secoli ridacchiavano quando gli amici a cena mettevano il cucchiaino nella bottiglia, vi spiego nel modo più semplice una delle leggi fisiche che regolano i gas disciolti in un liquido: la legge di Henry. 
Perché, sì, noi biologi conosciamo anche la Fisica.
Vi giuro che è facile.
Abbiamo la nostra bottiglia di liquido (Champagne) con dentro il suo gas disciolto (l’anidride carbonica, CO2, in questo caso).  Le molecole di CO2 vagano per il liquido senza meta con una certa velocità media, facendo yuuuuuhuuuuu c’è nessuuuuunooo (come i neuroni nella scatola cranica di alcune persone che conosco). Nel vagare si legano debolmente alle molecole d’acqua e alle altre sostanze disciolte, staccandosi e riattaccandosi. Ogni tanto, a forza di viaggiare qui e lì, raggiungono la superficie del liquido, e se sono particolarmente cazzute (il che in fisica si esprime con l’avere sufficiente energia per vincere i legami di tensione superficiale dell’acqua) passano nella fase gassosa, quindi nello spazio vuoto tra liquido e tappo. Anche lì viaggeranno senza meta, sbattendo con altre molecole e contro le pareti della bottiglia (determinando la pressione, che se shakerate troppo la bottiglia ve la fa esplodere in faccia), e sempre girovagando torneranno anche nel liquido.
Il chimico inglese William Henry, non avendo di meglio da fare ed essendo troppo nerd per rimorchiare, nel lontano 1803 si pose la domanda: “come si ripartiscono le molecole di gas tra la soluzione acquosa la fase gassosa?” e dopo varie ricerche enunciò la legge che porta il suo nome: p=kH c  dove pè la pressione della CO2 nell’aria tra liquido e tappo, mentre cè la concentrazione di CO2 nel liquido. k è una costante, oggi chiamata costante di Henry, sempre perché i chimici sono poco megalomani. 
Il buon Henry per partorire il suo enunciato misurò la pressione della CO2 nella fase gassosa e notò che questa era proporzionale al numero di molecole che rimanevano disciolte. Questo significa che all’equilibrio in ogni istante un certo numero di molecole di CO2 escono dal liquido e un numero più o meno uguale rientra nel liquido.
Prima di aprire la bottiglia la pressione della CO2 è superiore alla pressione atmosferica. Tanto maggiore è questa pressione tanta più anidride carbonica è disciolta nel liquido, secondo la legge di questo tizio. Non appena apriamo la bottiglia, l’anidride carbonica gassosa intrappolata sotto il tappo esce fuori: PPPPSSSCCCHHHTTT. Ora c’è della normale aria a contatto con il liquido, e questo significa che le molecole di CO2 che fuggono dalla fase acquosa non vengono più rimpiazzate: il nostro Champagne comincia a perdere di effervescenza, inesorabilmente. La perderà tutta? Praticamente sì perché la legge p=kH c si può utilizzare al contrario: nell’aria a contatto con il liquido aperto la percentuale di CO2, e quindi la sua pressione, arriverà praticamente a zero (p=0) e quindi ci ritroveremo senza bollicine (c=0) disciolte. Gneh.
La perdita di CO2 però non è repentina: per raggiungere l’equilibrio serve un certo tempo. Oltretutto  la forma della bottiglia, con il suo collo stretto, rallenta la fuoriuscita della CO2e la tiene per un tempo più lungo vicino alla superficie, contando anche sul fatto che l’anidride carbonica è più pesante dell’aria. Oltretutto, la velocità con cui le molecole di gas se ne fuggono dal liquido è influenzata anche dalla temperatura: più la temperatura è bassa e più i gas si disciolgono, quindi viceversa più è alta e più velocemente si sgasa la bevanda, e questo è uno dei motivi per cui le bevande gassate vanno bevute fredde. 
Alla luce di ciò, che fare allora se rimaniamo con mezza bottiglia di Champagne? 
Premettendo che secondo me la bottiglia s’ha da finì, la cosa migliore è trasferirlo in una bottiglia più piccola, in modo che sia più piena possibile, e tapparla: in questo modo l’equilibrio tra fase liquida e fase gassosa si raggiunge velocemente con una perdita minima di anidride carbonica da parte della bevanda (Nota per i miei amici nerd: nell’equazione di stato dei gas perfetti PV=nRT la pressione è inversamente proporzionale al volume a disposizione tra la superficie della bevanda e il tappo)
Torniamo ora al nostro utilissimo cucchiaino. 
Avete visto? Vi ho parlato di fisica e siete sopravvissuti! 
(eccetto quelli che stanno russando mentre sbavano sulla tastiera).
Non ho idea da dove sia nata questa convinzione e soprattutto come gli sia venuto in mente, probabilmente qualche sciamano ipotizzò una particolare reazione astrochimica tra l’argento e l’anidride carbonica intrappolandola o che l’ingombro del manico del cucchiaio sia sufficiente a non farla uscire. Fatto sta, amici miei, che avete appena visto che NON E’ VERO!
La cosa più esilarante è che in Francia un bel nutrito gruppo di scienziati intellettuali ha persino fatto degli esperimenti, con varie bottiglie di Champagne (poi dici perché non danno più fondi alla ricerca) di cui hanno misurato la pressione iniziale, ne hanno (sicuramente) bevuto la metà e poi (barcollando) ne hanno rimisurato la pressione a diversi intervalli di tempo e in diverse condizioni, utilizzando tutta l’argenteria a disposizione dell’anziana zia del ricercatore capo.
Tant’è che non hanno scoperto niente, anzi, se non altro si sono fatti ‘na bella bevuta in compagnia.
E voi compratevi un bel tappo.

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